Il Muro che tagliava in due la città era costituito da elementi ad "L" alti 3,50 metri, e larghi 1,00 metri. Un cavo d'acciaio passa all'interno degli elemento con lo scopo di tenerli uniti e renderli resistenti a qualsiasi tipo di urto. Questi elementi vennero posati in tre giorni ed era vietato attraversarlo. La parte decorata è quella rivolta verso la Germania ovest dove molti artisti hanno espresso con disegni il dissenso verso questa costruzione.


I berlinesi iniziarono a demolire il Muro creando fori come questi, utilizzati per far passare cibo dall’Ovest all’Est e, talvolta, anche bambini dall’Est all’Ovest.



Una fila interminabile di croci testimonia i caduti che tentarono di fuggire dall’Est all’Ovest per ricongiungersi ai propri cari e cercare una vita migliore.

Il Muro di Berlino a Merone: un’impresa di comunicazione e visione


Novembre 1989. La notizia fa il giro del mondo: la Germania dell’Est apre i confini, le prime famiglie si riuniscono, i berlinesi iniziano a demolire il Muro.
Alle 21:00 di quella sera, nella sala riunioni della Cementeria di Merone, si prende una decisione: 
portare un segmento autentico del Muro di Berlino a Merone, come prima pietra di un futuro Museo dell’Industria.

Mi occupavo delle relazioni esterne della cementeria. Il giorno successivo formammo una task force di esperti di comunicazione, coinvolgendo anche Paola Colombari, esperta d’arte e figlia di una delle più importanti famiglie di antiquari italiani. La sua tenacia, forgiata anche dai suoi trascorsi da sciatrice agonistica, si sarebbe rivelata preziosa per affrontare le complessità burocratiche e diplomatiche della Germania di quei giorni.


Un viaggio verso la Storia

Cinque giorni dopo ero a Berlino. Non era semplice arrivarci: si poteva volare solo con compagnie aeree di Paesi vincitori della guerra. Il viaggio mi portò da Linate a Francoforte e poi a Berlino Tempelhof, passando per Air France e ATR42.
Ma arrivare a Berlino non bastava. Non esisteva un ufficio “vendite” del Muro di Berlino. Bisognava negoziare, muoversi tra contatti e ottenere i permessi. Scoprimmo presto una dura verità: il Muro era 
proprietà della Germania dell’Est. Chiunque poteva staccarne un frammento con un martello, ma ottenere un segmento ufficiale, alto 3,50 metri e largo 1 metro, era tutta un’altra storia.

Dietro il Muro si estendeva una fascia di 20 metri, minata e sorvegliata. Nessuna legge, nessun decreto allora permetteva la vendita ufficiale di quel simbolo mondiale.


Diplomazia, arte e determinazione

Qui entrò in gioco Paola Colombari, che grazie ai suoi contatti nel mondo dell’arte e della cultura tedesca ci introdusse a figure chiave nel governo della Germania dell’Est. Era necessario un decreto ufficiale per poter vendere legalmente un segmento del Muro. Dopo mesi di trattative e venticinque viaggi a Berlino, quel decreto arrivò. In Germania Ovest fu costituita una società incaricata di gestire la vendita, destinando i proventi alla Croce Rossa Tedesca.

Concludemmo l’acquisto, con regolare fattura e pagamento. Poi si aprì una nuova sfida: trasportare il Muro in Italia.I dettagli rimangono riservati, ma posso dire che giovedì 29 marzo 1990 il nostro segmento fu bloccato alla dogana di Chiasso, in attesa di definire la sua classificazione doganale. La notizia fece scalpore: il giorno seguente apparve in prima pagina su La Stampa.

Quel venerdì 30 marzo 1990 ricevemmo i complimenti personali dell’Avvocato Giovanni Agnelli, durante l’assemblea della finanziaria che possedeva quote della Cementeria: un riconoscimento sincero e memorabile.


Un simbolo senza museo, ma non senza valore

Purtroppo, con il passaggio della Cementeria sotto il controllo di un grande gruppo industriale, il progetto del Museo non fu mai realizzato.
Eppure quel 
segmento del Muro di Berlino arrivato a Merone rimane una testimonianza concreta di un’impresa unica, che ha saputo unire strategia, comunicazione e capacità di trasformare una visione in realtà.

Oggi, quel frammento è ancora lì. Non solo come pietra storica, ma come simbolo della forza di un’idea e del coraggio di chi l’ha portata a compimento.